L'impatto delle "soluzioni" digitali sui servizi sociali (Conferenza ESN)
Questa settimana ho partecipato alla Conferenza dei Servizi Sociali Europei (European Social Services Conference, ESSC) organizzata dallo European Social Network - un network indipendente per mettere in connessione i servizi sociali pubblici territoriali.
La conferenza si è tenuta ad Aarhus, in Danimarca, ed è stata incentrata sul tema "Trasformare i Servizi Sociali: dove la cura incontra la tecnologia" (Transforming Social Services: Where Care Meets Tech). Nel corso di 3 giorni ho potuto partecipare a workshop, conversazioni e seminari molto interessanti - su temi vari come ingaggiare gli assistenti sociali in pratiche riflessive o come coinvolgere i cittadini affetti da disturbi dello spettro autistico e altre disabilità nella vita di comunità.
Martedì mattina ho avuto anche io modo di contribuire alla conversazione non solo come partecipante alla conferenza, ma come organizzatrice e presentatrice di un workshop sui pro e i contro della trasformazione digitale. La domanda alla base del workshop era la seguente: cosa succede quando introduciamo una soluzione digitale senza uno studio approfondito del problema e senza veramente capire le conseguenze di questa decisione? Le conversazioni che sono scaturite da questa semplice domanda sono state illuminanti. Ecco alcune considerazioni fatte insieme ad altre circa 60 persone nell'arco di un'ora:
"Non dovremmo pensare che il digitale può rimpiazzare completamente gli umani nell'erogazione di servizi sociali"
"Il digitale non è necessariamente perfetto e non ci dovremmo fare affidamento come se fosse perfetto"
"I risultati sono quello che conta. Migliorare i risultati per le persone attraverso l'uso della tecnologia"
Due interventi in particolare mi sono rimasti impressi nella mente: il primo è che invece di "soluzioni" digitali dovremmo parlare di "strumenti" digitali; e il secondo è che la digitalizzazione (e quindi la standardizzazione) del servizio può rispondere alle domande del 90% per cento degli utenti (nel migliore dei casi), ma nessuno pensa al rimanente 10% che non riesce a trovare una risposta ai loro bisogni.
Questo succede perché nella maggior parte dei casi lo strumento tecnologico viene "spinto" sul sistema: ecco un nuovo software, ora dobbiamo convincere le persone ad utilizzarlo. Un approccio alternativo, invece, è quello dove la tecnologia viene "tirata" dal sistema - le persone che svolgono il lavoro capiscono il "cosa" e il "perché" del lavoro stesso e tirano a sé il software in quella parte del lavoro sapendo esattamente quale sarà il risultato. In quest'ultimo scenario i problemi legati all'implementazione della tecnologia (incomprensione e resistenza al cambiamento) semplicemente non esistono. [1]
In breve, attualmente i manager decidono di investire nella tecnologia senza avere abbastanza conoscenza dell'impatto che questa avrà sul lavoro. Il risultato è quello di rendere l'erogazione del servizio più complicata per l'utente e più costosa per l'azienda. [2]
Quindi, per capire come la tecnologia influenzerà l'erogazione del servizio, è importante avere una profonda conoscenza dei flussi di lavoro - che non può essere fatto disegnando diagrammi e flussi di dati in un ufficio da qualche parte, o scrivendo report e specifiche su un computer. [3] Il ruolo del manager è invece quello di studiare il sistema e capire a fondo le interconnessioni tra le sue varie componenti. Solo con una conoscenza profonda del lavoro è poi possibile migliorarlo e soprattutto capire dove poter inserire la tecnologia in modo che questa abbia i risultati migliori. [4]
[1] SEDDON, John, 2003. Freedom from Command and Control: a better way to make the work work. Vanguard Consulting Ltd, p.177
[2] SEDDON, John, 2003, p.175
[3] SEDDON, John, 2003, pp.147-148
[4] SEDDON, John, 2003, p.176